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Rappresentazioni classiche – Teatro Greco Siracusa 2006


La parola theatron deriva quasi sicuramente dal verbo theaomai che significa guardo, sono spettatore


Euripide, la storia

Nasce forse nel 480 a Salamina, l’anno stesso della famosa battaglia, ma è iscritto nel demo attico di Flia, dove suo padre Mnesarco, ricco proprietario terriero, fonda la fortuna della sua famiglia sul commercio. Sua madre è Clito, di origine nobile, ma la malevolenza dei commediografi la trasforma in un’erbivendola. L’attitudine dei suoi personaggi a filosofeggiare deriva forse dai suoi contatti con i sofisti. Il suo scetticismo antireligioso e la polemica contro gli dèi frequente nelle sue opere gli procurano, si dice, accuse di ateismo; le sue disavventure coniugali (avrebbe sposato prima Melito e poi Cherine) quella di misoginismo. Ha carattere inquieto teso ad isolarsi dalla vita politica di Atene, ma è critico lucido e polemico della realtà contemporanea. Ormai vecchio si ritira a Pella, in Macedonia, alla corte di Archelao, dove morì, si dice, sbranato dai cani molossi del re mentre rincasava ad ora tarda. È stato il primo ad avere una biblioteca privata. Ci restano di lui 18 tragedie, di cui una considerata spuria, e un dramma satiresco. Riporta cinque vittorie, di cui una postuma. È secondo con le Troiane.

se un dio non avesse sconvolto e
sprofondato le sorti di questa terra,
noi non avremmo nome e non vivremmo nel canto dei poeti,
dando voce alla poesia dei mortali che verranno. [EURIPIDE, Troiane, vv. 1242-1245]



Le Troiane: la trama

Dopo la presa di Troia, Atena e Poseidone decidono di distruggere l’armata greca: l’uno è benevolo ai Troiani perché fondatore della loro città, l’altra odia i Greci perché Aiace ha violentato Cassandra nel tempio consacrato alla dea. Intanto i Greci si sorteggiano le donne troiane, prede di guerra, come schiave. Destinata ad Agamennone è Cassandra, lucidamente presaga della sorte di entrambi. A Neottolemo, figlio di Achille, è destinata Andromaca, straziata dal ricordo di Ettore morto, alla quale i Greci sottraggono anche il tenero figlio Astianatte per ucciderlo gettandolo giù dalle mura. La vecchia regina Ecuba è data ad Ulisse. Polissena, sua figlia, sarà immolata sulla tomba di Achille la cui ombra l’ha richiesta come condizione per dare venti favorevoli ai suoi connazionali in procinto di salpare alla volta della patria dopo dieci lunghi anni di guerra. Appare poi sulla scena la causa di tante sciagure, la splendida Elena, che Menelao, suo marito, vuol ricondurre in patria per ucciderla, vendicando così le molte vite dei Greci stroncate per colpa sua. Ecuba la maledice ed essa si difende con un abile discorso, consapevole che Menelao, vinto dalla sua fatale bellezza, l’avrebbe risparmiata. Infine, dopo aver ricomposto il corpo devastato del nipotino, Ecuba con le altre prigioniere sia avvia verso le navi greche mentre la città crolla tra le fiamme.


Ecuba: la trama

Il dramma di una madre, Ecuba, che ha perduto tutto, viene inscenato da Euripide tra gli echi lontani della guerra di Troia. Ecuba, resa schiava dopo la sconfitta dei troiani, ha perso tutte le persone a lei care: le uniche che le sono rimaste sono l'amata figlia Polissena e il figlio, che ha trovato un rifugio al di là del mare, presso un amico di famiglia. Ma il dramma ha inizio quando gli Achei trionfatori vogliono omaggiare la tomba dell'eroe Achille, e decidono di perpetrare un mirabile sacrificio umano, condannando a morte Polissena. La madre, già disperata per l'uccisione della dolce fanciulla, è completamente soggiogata dal dolore quando impara la morte anche del caro figlio, ucciso dall'ospite infido cui l'aveva lasciato. Da queste basi, non può non nascere in Ecuba il desiderio incoercibile della vendetta. Il tema della colpa che si tramanda di generazione in generazione è una delle possibili chiavi di lettura di quest'opera: la colpa di Ecuba, caduta dai fasti della corte troiana nella misera schiavitù, che non ha saputo salvare la figlia, e che ha cercato di salvare il figlio ma ha miseramente fallito; la colpa di Polimestore, che ha tradito il sacro vincolo dell'ospitalità uccidendo l'erede di Ecuba, e che per questo non solo subirà l'aspra vendetta di Ecuba, ma condannerà la sua progenie alla morte, e se stesso ad un'esistenza di dolore. Questa tragedia fa riflettere, e molto, sul significato della colpa, sul concatenarsi delle diverse singole colpe, anche contingenti, che risalgono via via di momento in momento (come non ricordare in questa stessa storia la "colpa" di Elena?). A questo tema, si riallaccia quello della improrogabilità della punizione, e della certezza di questa punizione, un tema che sarà lungamente ripreso successivamente in epoca cristiana. Ma qui non è presente un tema escatologico, finalizzato alla salvezza, collegato al concetto di peccato: è invece presente una punizione molto più concreta, che scaturisce da sentimenti violenti come la vendetta e la perfida rabbia; insomma, sentimenti che definiremmo brutali oggi, ma reali ed evidenti allora quanti reali e (spesso) celati oggi.


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